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TV e Politica

TV e Politica

(09 aprile 2010)

La fabbrica del consenso


Sembrava che negli ultimi decenni la televisione dovesse giocare un ruolo ormai marginale nel campo dei media. Internet e le mille fonti d’informazione avevano relegato la televisione a puro strumento d’evasione. Infatti questo ruolo non gli è stato tolto, anzi.
Di evasione a buon mercato ce n’è fin troppa.
Intanto la carta stampata è in una sorta di limbo vicino all’eutanasia tenuta in piedi dai partiti e dai finanziamenti pubblici.


Internet è la nuova miniera d’oro, una fonte di biodiversità (anche se non in assoluto) per i tanti micro-segmenti d’informazione libera che attraversano il web, ma anche nuovo terreno di conquista da parte della politica. Infatti appena questo è stato compreso, subito nuove leggi vengono studiate per ‘regolamentare’ il settore.
Ma perché allora in Italia tutti si affannano a monopolizzare il mezzo televisivo? Perché viviamo questa sorta di videocrazia, dove un politico senza Tv e senza giornalini-bollettini di partito non esiste?
Forse perché gli studi di settore ci dicono che in Italia, paese che ha una popolazione con età media molto alta, nonostante tutto, la Tv è il primo organo d’informazione. Giornali e Internet seguono a ruota.
Fin dalla sua apparizione, come organo d’informazione e intrattenimento di massa, sono state messe in mostra luci e ombre dello strumento televisivo. Ogni parte politica e scuola di pensiero ha detto la sua. Puro strumento d’intrattenimento, gli uni, strumento di controllo e istupidimento delle masse, gli altri. La terza via era quella che considerava la Tv un mezzo, pericoloso a volte, ma anche ricco di opportunità.

Sembra che in Italia tutti convergano sull’importanza del mezzo (la presenza dei politici in Tv è aumentata in maniera esponenziale negli ultimi anni, anche se la relazione matematica e immediata tra più presenza sullo schermo uguale a più voti non è provata) visto che, prima la partitocrazia, e poi i vari poteri, con spiccate personalità che ne hanno fatto un vero e proprio cavallo di troia, hanno sviluppato un interesse costante per il cosiddetto (ex) tubo catodico. Ciò non riguarda solo la TV pubblica, da sempre preda di partitucoli, anche quella privata deve sottostare alle regole non scritte della dipendenza, della mancata autonomia. Giovanni Sartori ha espresso un’opinione interessante nel suo saggio “Homo Videns”, e cioè che la Tv ha cambiato il nostro modo di pensare (tesi che aveva già posto in maniera radicale e scientifica M. McLhuan). A livello cognitivo, la parola, che induceva al confronto ma soprattutto alla riflessione, è stata sostituita dall’immagine acritica. Quindi si è diffuso un modo di pensare che risente più delle immagini che delle parole pensate (un meccanismo capitalizzato dalla pubblicità). Sartori dipinge uno scenario pericoloso per la democrazia, dove il mezzo televisivo conta molto nella distorsione della realtà o nella poca informazione, e questo proprio perché un fatto non ‘videabile’ non esiste, cioè la televisione cattura le notizie in immagini, il compito della parola e della conoscenza passa in secondo piano. Inoltre il livello di influenza che il mezzo può avere, per la sua capacità di essere fruibile in ogni momento nelle nostre case, non è misurabile solo dal grado di faziosità nel dare una notizia, ma anche dalla capacità e nel livello critico di chi ‘subisce’ l’informazione. La decriptazione delle notizie (quando ci sono o sono distorte) richiede quindi buone capacità critiche. Forse è per questo che la Tv e i giornalisti televisivi, ma non solo, sono sottoposti a pressioni notevoli con il risultato di avere un’informazione quasi unanimemente appiattita sull’opinione del capetto politico o della corrente di turno? Lacci e laccetti che imbrigliano l’informazione, servilismi di varia natura, ansia di potere, editti bulgari, stanno alla base di un sistema, quello televisivo e della carta scritta (che meriterebbe un capitolo a parte) che vuole formare le opinioni nascondendo le notizie o semplicemente distorcendole. Non a caso più organi indipendenti internazionali (Reporters sans Frontieres, Freedom House) nella classifica annuale dei paesi dove vige una stampa libera collocano l’Italia a posti sinceramente imbarazzanti per un paese europeo. Troppa compromissione con la politica, troppi conflitti d’interesse, poca indipendenza, troppi giornali diretta espressione di partiti che spesso vengono tenuti in piedi da soli finanziamenti pubblici. Del resto è da tempo che Noam Chomsky ha bollato certa informazione come “Fabbrica del consenso”. Il problema infatti non è solo italiano, l’informazione libera è un problema per molti paesi, ma nel belpaese il monopolio, la ‘dipendenza’ politica diretta, ne fanno un problema cruciale. Marco Travaglio nella prefazione al suo libro ‘La scomparsa dei fatti’ si domandava quale professionalità avesse un giornalista che invece di portare alla luce dei fatti, li faceva scomparire, come affossati dal chiacchiericcio quotidiano. Il giornalismo come cane da guardia del potere, servile per ignoranza, paura, opportunità. Il giornalista che con poca trasparenza e onestà intellettuale, omette dati, parole, per compiacere il potere e non compromettere il suo posto di lavoro che la politica usa a scopo ricattatorio. Una politica che sempre di più ha invaso lo schermo per costruire lo spettacolo del consenso, senza alcuna relazione ai fatti, alla vita delle persone, portando avanti non tanto la retorica verbale del vecchio politico, ma altre armi più telegeniche. Infatti la televisione ha cambiato il tipo di comunicazione politica, più vicina allo slogan dei messaggi pubblicitari. Il consenso si costruisce su più livelli, l’immagine ha la sua parte in una società sempre più ossessionata dallo spettacolo. Tutto ha senso se comunicato, spettacolarizzato. Il fatto in sé, già difficilmente comunicabile, viene lasciato sullo sfondo da una informazione elitaria che non ha nessuna voglia di cambiare le cose, ma che contribuisce a creare la percezione dei fenomeni, il senso comune più immediato, il gioco politico delle parti che affollano la superficie della nostra quotidianità. La televisione uccide la realtà? Si domanderebbe qualcuno...in parte, forse. Sicuramente aiuta a confondere la realtà e la fantasia preoccupandosi di diffondere modelli già confezionati, riproduzioni rassicuranti e fiacche della realtà, allarmismi di varia natura che la politica capitalizza. Semplificazione, omologazione, mercificazione, mistificazione sono la costante. Capire il congegno artificiale che la guida, ridicolizzare il Blob che la riempie, segnalare lo scollamento che ha con la realtà dei fenomeni, ci aiuterebbe a capire. La Tv digitale tra l’altro non è riuscita a significare la rivoluzione che prometteva, anzi gli stessi gruppi mediatici si sono riprodotti senza nessuna sostanziale novità. La proprietà dei media rimane ancora il nodo cruciale di un sistema ormai asfittico. Certo non tutto è negativo, ci sono delle eccezioni, ma l'ingresso di nuovi network indipendenti sulla scena mediatica risulta essere un miraggio mentre altre esperienze di vivere e costruire una comunicazione diversa non hanno spazio, vedi le esperienze di Telestreet in Italia (tentativo di non essere mezzo di ‘massa’) o le nuove Tv in streaming, o le Tv comunitarie e civiche che cercano, quando non ricalcano i modelli precedenti, di fondare una comunicazione dal basso, fatta di pochi mezzi, ma forse più reale e vicina alla vita quotidiana, diffondendo un modello giornalistico cosiddetto partecipativo dove l’insidia più pericolosa però è la poca qualità. Un approccio diverso alla comunicazione, nonchè la presenza di nuovi gruppi indipendenti forse farebbe in modo che la politica e l’informazione ‘tradizionali’ siano sconfessati su di un terreno ormai roccaforte del loro potere di controllo, permettendo di riacquistare fiducia verso un mezzo i cui contenuti debbono essere messi costantemente in discussione e non riproducendo le aberrazioni egemoniche dei sistemi politico-mass-mediologici attuali.


di Dario Ameruso

09 aprile 2010
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