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Quel Riccardo III di Gassman che assomiglia a uno zombie di Michael Jackson

Quel Riccardo III di Gassman che assomiglia a uno zombie di Michael Jackson
di Chiara Merlo

La frivola vanità,
cormorano insaziabile,
non esita a pascersi di se stessa

William Shakespeare
(04 aprile 2014) C’è una visione “thriller” nel racconto che questo spettacolo fa della lotta fra le due famiglie dei Lancaster e degli York (con la presa definitiva del potere da parte dei Tudor), quell’atmosfera cupa dei videogiochi di guerra con cui si divertono i quarantenni. Manca però la musica, o meglio, c’è, ma è una colonna sonora cinematografica, che fa riferimento non all’azione, piuttosto a dei pezzi jazz (che non intellettualizzano) e a degli altri, cult, dimensione anni “80, come il brano finale “brothers in arms” dei Dire Straits. Nel tentativo di un concettuale, purtroppo non riuscito.

Una messa in scena per ragazzi, certamente. Utile alla comprensione storica degli accadimenti grazie a una modalità socio-noir per quelle età molto accattivante. Interessante la scena con quella ricerca della distanza, dimensione ricordo o inabissamento (ma ancora una volta cinematografica e non teatro-relazionale), con i suoi dettagli cartonati molto ricercati, di archi e decori gotici sovrapposti a grotte, interni di palazzi medievali, con proiezioni suggestive di dinamiche viste all’incontrario in una sorta di speculare rappresentazione, con paesaggi notturni dall’atmosfera fiabesca, e la prospettiva usata a rendere i personaggi dinamici su più altezze. Uno sull’altro i singoli momenti della drammatizzazione, grazie a una sorta di verticalizzazione delle vicende, usando stanze superiori e stanze inferiori, grazie sempre all’ausilio dei proiettori e delle luci. Insomma una scena resa complessa dalle installazioni e forme digitali, e una regia suggestiva in grado di coinvolgere soprattutto le nuove generazioni. I costumi brillanti, medieval fashion.


Nell’ansia di attualizzare, e semplificare, e suggestionare, tuttavia, la tragedia a tratti è diventata una parodia (e per certi aspetti horror splatter), una caricatura un po’ irriverente del personaggio. In particolare, Gassman si è dovuto impegnare parecchio, cioè forzatamente, per imbruttirsi e storpiarsi, con quell’errore di fondo suo imperdonabile (a parer nostro): il rendersi brutto per esercizio di stile (ma senza rinunciare a quel modello ormai introiettato di seduttore infallibile). Un’operazione risultata assai falsa. Esageratamente alterate, come per un inganno, gestualità ed espressione, seppure con l’intenzione di alleggerire e di far ridere. Avrebbe dovuto lavorare invece non semplicemente sul suo corpo, con comunque quella certezza evidente (sua e nostra), e ormai radicata, di quella sua propria bellezza e avvenenza riconosciuta (vanificando perciò quella distorsione, voluta, ma visibilmente artificiosa perché non interiorizzata), piuttosto sull’anima di quello storpio, di quel mostro shakespeariano che non poteva essere soltanto un travestimento.



E perciò il travestimento ci è sembrato solo un effetto speciale, proprio come nel video degli zombie di Michael Jackson, ve lo ricordate?! Sempre anni ’80. In quel balletto del video ci sono proprio gli stessi gesti delle mani sollevate e anchilosate, e così i versi inquietanti della sovrapposizione delle personalità.



Tra gli stati d’animo emergenti, non la solitudine, né il disagio di un’emarginazione riscattata con violenta cattiveria e vendetta. Solo il vanesio del negativo: l’attrazione fatale per i cattivi che sanno farsi giustizia da soli con ogni mezzo. In questa direzione l’interpretazione è risultata esauriente, eppure non è bastata a darci il senso ultimo del dramma: il fratricidio.



Alcuni aspetti tecnici poi hanno reso la rappresentazione particolarmente fastidiosa, l’uso dei microfoni, per esempio, che hanno disturbato parecchio la percezione dei suoni e delle parole, rendendo, se possibile, ancora più metallica e punk dark la trasposizione scenica.



Non possiamo dire che non ci sia proprio piaciuto, ma non è Shakespeare, è un’altra cosa (da Shakespeare). E l’intervento di Vitaliano Trevisan (traduzione e adattamento) non è bastato ad armonizzare vecchio e nuovo. Alcuni attori sono stati anche molto bravi (Manrico Gammarota nel ruolo di Tyrrel, Marta Richeldi, Elisabetta, e Paila Pavesi, Duchessa di York, su tutti). Lo stesso Gassman. Peccato che, per non cimentarsi in un ruolo cliché, per come già così tante volte magnificamente interpretato da altri grandi attori (e con particolare pregio da Vittorio Gassman nella messa in scena di Ronconi), il protagonista, Alessandro Gassman, abbia voluto solo renderlo un qualsiasi suo avatar, un Riccardo virtuale, maschera della maschera.



In ogni caso la regia ha raggiunto significativi momenti di originalità e maturazione.


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