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“Una pura formalità” con la poesia della pioggia

“Una pura formalità” con la poesia della pioggia
di Chiara Merlo

– Io non credo nella vita futura.
– E se laggiù non vi fossero che ragni, o qualcosa del genere?
– "È pazzo!", pensò.
– Noi ci rappresentiamo sempre l'eternità come un'idea che non possiamo comprendere, come una cosa immensa, immensa. Ma perché dovrebbe essere immensa? E se lassù non ci fosse altro che una stanzetta, simile ad una rustica stanza da bagno affumicata, e in tutti gli angoli ci fossero tanti ragni? Se l'eternità non fosse altro che questo?
– Possibile, possibile che non riusciate a figurarvi qualcosa di più consolante e giusto di questo?, esclamò Raskòl'nikov con un sentimento doloroso.

(da "Delitto e Castigo" di Dostoevskij, Raskòl'nikov e Svidrigajlov; IV, I; 1993, p. 356)
(05 maggio 2014) Dal racconto cinematografico di Giuseppe Tornatore alle immagini visionarie di Glauco Mauri.

La morte è soltanto un passaggio. Mentre piove. E piove ininterrottamente, con il rumore dell’acqua che non ci lascia mai fino alla fine. La pioggia certo ci aiuta a ricordare, soprattutto quando ti trovi in una stanza con le pareti tappezzate di libri e una scrivania con una lampada a luce calda e soffusa, nell’umidità della tristezza (che ammala) macchina da scrivere a lato. Pure se quella è la scrivania di un commissario, uno che indaga sulla tua vita. Vuole scoprire come sei morto. Se sei colpevole. Dietro, una parete di lacrime, un azzurro intenso dell’acqua che scroscia fuori dai vetri, con lo sfondo buio di un bosco che si immagina non troppo lontano. La vita, come si è perduta.

Deve essere così che te ne accorgi, guardando i vetri. E hai soltanto una lunga notte per capire. Ma è possibile non sapere che si è già morti? Essersi così tanto abituati da non accorgersene più. Soltanto l’altro, fuori da te, che può aiutarti. Lo specchio che ti è stato messo di fronte ad accertare il sangue che ti scorre sopra i vestiti, con quelle macchie indelebili di pioggia che pure ti bagnano ancora. Tu all’apparenza sembri ostile, non accetti che un altro veda quello che tu non puoi (non vuoi) più vedere, ma quando muori succede così, gli altri ti dicono, e anche se ridi, e anche se sbuffi, che sei proprio tu, proprio tu quello morto, per quanto ti ribelli. Alla fine l’accetti.


La trama di questo spettacolo segue un crescendo di fatti soltanto immaginati, surreali, supposti. Ricordi. E come sostiene anche il regista, fanno pensare alle vicende che legano il giudice Porfirij e il condannato Raskolnikov del romanzo “Delitto e Castigo” di Dostoevskij. Con la stessa acqua (del fiume Irtyš) che scorre fuori dalla prigione (la fortezza per lavori forzati in Siberia di Omsk) e quella stessa desolazione che alla fine porta alla confessione. Dalla rimozione all’accettazione della verità, seppure non assoluta. Quella propria. Un’inquietudine latente, una smania feroce, che però alla fine viene calmata (forse compresa!).



Gli effetti emotivi sono devastanti. Il commissario, con un sacco pieno di foto che svuota dappertutto nella stanza dell’interrogatorio, convince il malcapitato di quell’avamposto ai confini della vita, Onoff, uno scrittore in fuga nell’ultimo black-out della sua esistenza, che deve proprio sopportare quella sua pena. Ha fatto un cammino, com’è quello di tutti, di luci e di ombre, arrivando fino a lì (anche fosse solo dentro di sé), a un ponte fra la vita e la morte, scrivendo e raccontando, a volte usurpando la scrittura e la vita degli altri. Ora, consapevole, deve arrendersi all’epilogo, espiare con sofferenza, e non annichilirsi. Scontare il vissuto, il passato lasciato negli altri.



Questa regia, questa interpretazione sono davvero molto poetiche, con due attori carichi di emozioni nel ripercorrere le dinamiche esistenziali dei personaggi. Una rappresentazione emotiva della vita e della morte, e del passaggio ultimo per come intercorre, con ancora illusioni e speranze.



Come sempre l’abilità di Glauco Mauri attore (nel ruolo del commissario) è la naturalezza che ogni volta raggiunge nel ripercorrere i gesti suggeriti dal testo, nel trasferire alle parole, la semiotica del linguaggio, i simboli di una sempre attuale significazione della realtà, e per come viene vissuta quotidianamente nelle relazioni interpersonali. Eccellente anche Roberto Sturno nel suo ruolo da protagonista (Onoff). Bravi anche gli altri giovani attori (Giuseppe Nitti, Amedeo D’amico, Paolo Benvenuto Vezzoso, Marco Fiore).



Nella scena, molto suggestiva, è comunque l’acqua, con il suo rumore ripetitivo e ossessivo, a rimanere impressa, a differenza forse dello scorrere della vita (sua metafora) di cui non sempre noi ci accorgiamo.



Visto al Teatro Parioli di Roma ( 27 marzo - 13 aprile 2014)


05 maggio 2014
Articolo di
nostoi
Rubrica:
Teatro


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Approfondimenti


Sito Compagnia Mauri-Sturno



Sito Teatro Parioli



Foto Glauco Mauri (attore e regista dello spettacolo)



Foto Roberto Sturno (nello spettacolo col ruolo di Onoff)



La locandina del film di Tornatore del 1994 con Depardieu



"Ricordare", colonna sonora del film composta da Morricone 


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