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Ogni singola parola la voglio tutta, da ogni singola parola passano i flussi.

Ogni singola parola la voglio tutta, da ogni singola parola passano i flussi.
di Chiara Merlo

La creatività è quella meravigliosa capacità di cogliere realtà tra loro distinte e disegnare una scintilla dalla loro giustapposizione
Max Ernst
(19 gennaio 2015) "The cult of fluxus" è un libro fatto di parole, naturalmente, e di numeri. Linguaggi cifrati. L'autore, Ernesto Orrico, le usa come passaggi. Temporali, emotivi, spaziali, geometrici, interiori. Le parole come organi vitali. Come bocche che respirano. Incroci letterari e visionari. Un concetto di #arteverso. Immagini, suoni e parole sperimentate insieme. Simboli che si sovrappongono e si dis-perdono. Un'intuizione dadaista rivoluzionata. Allargata. Abusata. Ritrattata. Incrociata al mondo virtuale, di condivisioni e connessioni. Moltiplicazioni, proiezioni. Il dinamismo di un uomo. Futurismo. Futuribile?

Numeri. Codici. La semiotica del linguaggio. Il linguaggio che cambia per forza, inesorabilmente: #cancelletti da tastiera che ci insegnano nuovi percorsi, a entrare e uscire da un argomento/soggetto. Un mondo, una personale visione delle cose. Un diario per tutti, con tutti. Tag e @chiocciole cui portare la nostra attenzione/destinazione. Corridoi dove entrare, cunicoli dove perdersi. Persone/concetti fatte solo di testo che si muovono in un liquido di pensieri, denso, cupo, profondo. Labirinti delle fognature contemporanee. Social network e fili d'Arianna. Stanze isolate con finestre possibili.

Non ha molte pagine, ma è di una complessità...seppure non deve essere percepita. E c'è anche una tristezza di fondo, per quanto venga dallo stesso autore irrisa. Forse è amarezza? Pregiato lavoro di analisi percettive, visive. Sensazioni che per diventare concetti si impadroniscono abusivamente delle parole, alle quali sfugge però un unico significato, perché le parole stesse sfuggono a chi vuole occuparle, trattenerle, istruirle.

"Quanto un flusso può contaminarti?" si chiede nella prefazione Elena Giorgiani Mirabelli, e aggiunge: quello "che hai fra le mani è un organismo, fatto di pezzi di narrazione pura e nervosa, di associazioni vivide e piene di un certo gusto per il non senso, perché questi flussi sono stati contaminati dalla manipolazione sonora di altri corpi creativi, che hanno riempito i flussi del proprio gusto e del proprio ritmo. Del proprio ritmo che è respiro". I flussi quindi non li puoi fermare, non li puoi staticizzare.

E allora, tanto un flusso, tanto un flusso di flussi, può contaminarti, per ogni passaggio/attraversamento (dell'altro, dall'altro). Ne sei penetrato. In ogni accezione possibile! Ogni parola è appunto un respiro, è la vita che ci passa dentro. Degli altri, la mia.


Inizia con il numero "uno" (capitolo uno) e la parola "mancano". Se si è soli, gli altri mancano. Il numero uno è una sconfitta. Ma è anche un numero intimidatorio. Può significare "Io", soltanto io. E si contrappone a tanti, e si abbina a pochi. Una Calabria saccheggiata come esempio di contrapposizione. Un "tutti" e un "troppi" falliti/fallimenti, dove l'uno ha il senso (la direzione) che gli altri muoiano perché "Io" possa essere. Resistere.



Poi c'è il "due", con le "abitudini disordinate". Relazioni interiorizzate. Di clienti, pazienti, utenti. Amori. Bambini che urlano dentro alle scuole. Rettori, sindaci e assessori che silenziano quegli urli dentro alle scuole. Protesta l'amore. Protesta d'amore. "Una nuova finestra dell'astrazione. Gli intonaci delle donne".



E così arriva il "tre", dove si aggiunge "il me stesso", il "noi stessi". E comincia con "abdico, rinuncio, resisto". Parole vuote, eppure così pesanti. Da battere sui tasti. La vergogna di non essere quello che ci auspichiamo di essere. Un'immagine che comincia a farsi collettiva, ma della mia sola e unica sconfitta. L'ombra degli altri su di me mentre mi aggiungo al resto, perché non combatto l'essere uno, e non diversifico il due delle abitudini.



Il "quattro" è un po' più complicato. Parla di sistema. "La ragione commissariata. Il paese contiguo. La città spenta." (forse è Cosenza?). Parla di voto e di azione, in quella cornice, frame (semantico) appena descritto. Parla di buchi, vuoti che sono neri. Di mercato, di cosca e di partito. Dove "il tutto cambia" ha bisogno di un'altra figura geometrica. Dove il tribunale è il luogo del procrastinare. E il silenzio porta sempre le sue lacrime.



"Cinque" e "il tempo fa solchi". Nella speranza le nostre parcelle rimangono insolute. Il lavoro e il suo inglese. Un futuro da dividere, non buono se in troppi. Fuga. Verso Altrove. Cervelli che se ne vanno. E qui restano imbecilli. La neve carica i rami per primavere impossibili. Questo numero è perciò un passaggio fermo. Di emigranti e di immigrati. Di cantanti, attori e "nullafacenti". Ma è la melodia che spinge le pareti del cervello per uscire. E collassa. Continua a collassare.



"Sei" è il principio esistenziale. Dopo il collasso collettivo/emotivo. Devi pur fare qualche cosa. "Livella ogni punta". "Ritardi abissali insidiano il fluire". "Lo snorkering salva l'anima". Allora scandagliare dopo il naufragio, lasciarsi travolgere dal destino e dall'azzurro del mare. Buttarsi giù, dentro se stessi fino a morire. Relazioni da insabbiare. Masturbare. Salvarsi anche a scapito di una flotta. E invece di spingersi fuori, sprofondare dentro. È pur sempre una scelta.



"Sette" è "separare". Per non restare sulle foglie. Al vento chiedere di farci emigrare. È il capitolo sulla differenza e sulla diversità.



"Otto" è la perdita. perché tutto quello che facciamo, lo facciamo per peggiorare. "Abbiamo sollevato polveri per chiudere gli sguardi"! "Ci arrampichiamo senza funi. Finiremo per vincere. Prima o poi." Ci muoviamo sempre in mezzo a valori di appartenenza. Sia che pro, sia che contro. E restiamo vicini al muro. Perderli quei valori è ricominciare, non ripetere, non ripetersi. Ci vorrebbe una trasformazione. "Una vita che si finge, puzza".



"Nove", forse serve "cattiveria". "Guardatela la Magna Graecia che si inabissa. Guardate il fango. Portate nuove passerelle. Aprite le tasche e scegliete i soldi spicci. Buttate il centesimo al mendicante che sorride". Diventate cattivi!



"Dieci" e ricomincia il "canto". "Ricomincio sempre dalla stessa attitudine. Il suono mi piace malato. Tutto si ritorce contro di me. E sono pieno di buchi".



"Undici", in qualche modo il futuro. "Dodici", fottuti dallo specchio. "Tredici", questo eterno riposo. "Quattordici": "E le ragazze? Scrivono ancora? Sognano? O hanno perso il primo volo-low cost? "Quindici", l'amore. "Sedici", la famiglia. "Diciassette", passa una vita che ne viene un'altra. Passa. È passata. "Diciotto": perforati nel "sensibile" osserviamo il futuro intingersi nell'acido. "Diciannove", non ci resta che il flusso, "essere" nel flusso. "Venti", le foglie hanno capito, e non si staccano.



Questo lavoro è davvero prezioso, tenta di spiegarci degli atteggiamenti. Tenta un risultato etico. Tenta una forma artistica non convenzionale, lasciata alle singole parole, che puoi mettere nell'ordine sparso che vuoi, che senti, che concepisci, che distribuisci. Ogni linguaggio è fatto di tanti linguaggi che interagiscono. Multiversi. Da non sottovalutare l'aspetto musicale. Ogni frammento diventa un principio sonoro, un componimento.



Questo metodo è di George Maciunas, di un'America evocata, senza ordini né ordine. Ma come quello, spinge a un'invenzione libera che usa la causalità e l'improvvisazione per aderire a ogni forma possibile. Di vita, artistica. Rende fruibile e com-prensibile il salto evolutivo della comunicazione. Orizzontalizzazione del pensiero dematerializzando l'immagine, che non più è ma accade, diviene, si trasforma da oggetto in evento cui tutti possono partecipare.


19 gennaio 2015
Articolo di
nostoi
Rubrica:
Ambiente


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