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Il Vangelo di Pippo Delbono

Il Vangelo di Pippo Delbono
di Chiara Merlo

Beati gli occhi che vedono
ciò che voi vedete.

Vangelo secondo Luca (10, 23)
(04 febbraio 2016) Il Vangelo di Pippo Delbono, con Gianluca Ballarè, Bobò, Margherita Clemente, Pippo Delbono, Ilaria Distante, Simone Goggiano, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Gianni Parenti, Alma Prica, Pepe Robledo, Grazia Spinella, Nina Violic, Safi Zakria, Mirta Zecevic, e con la partecipazione nel film dei rifugiati del Centro di Accoglienza PIAM di Asti

Io lo capisco Pippo Delbono. La madre mentre moriva gli ha chiesto di fare uno spettacolo sul Vangelo, e neanche io mi sarei mai sottratta a una richiesta del genere, nonostante per lui comportasse tirar fuori il conflitto con il suo ateismo. Lo capisco, perché poi quando gli altri ti chiedono, sulla scia delle emozioni, di fare una cosa che proprio non senti tua, riceverai certamente delle critiche per come l'hai fatta. Specie se vuoi usare tutto il tuo rispetto. È tua madre!

Ora, è proprio il tema del Vangelo che deve aver disturbato (come una nèmesi) sia il critico che lo spettatore, non invece quel suo modo solito di fare teatro, pressoché autobiografico e lagnoso; altrimenti non si spiega quell'avversione collettiva, a tratti violenta, dimostrata contro questo spettacolo, sia dai critici di fama, che, corrispondentemente, dai mugugni della gente comune in sala. Questa volta però, almeno a parer mio (e certo non per essere per dispetto provocatoria, bastian contrario), questa messa in scena, con il suo collage di immagini, presentava in ogni caso delle interessanti novità registiche.


Pippo Delbono ha da sempre messo in scena se stesso, questo lo sappiamo tutti, è il suo modo di essere vivo, o di non morire, come dice, e non nascondiamocelo, c'è chi lo ha anche amato per questa sua introspezione vaneggiata ad alta voce, o bofonchiando tra sé e sé, salendo e scendendo dal palcoscenico come se il palcoscenico fosse soltanto suo, abusandone. E c'è chi invece l'ha da sempre trovato un po' fastidioso. Tuttavia, pur riconoscendo nel tempo tutti i limiti di questo suo modo eccessivamente egotistico (che va ben oltre il confessionale, genere che io amo particolarmente) di fare teatro, cioè quel modo di esagerato compiacimento con cui si guarda, connesso con la tendenza a fare di se stesso l'oggetto privilegiato di ogni riflessione, io questa volta non ho colto chissà quali enormi differenze stilistiche rispetto agli altri suoi spettacoli passati, diffusamente amati. Forse che prima andava più di moda quel suo borbottare al microfono in tonalità ascetica autoreferenziale (respiro ansimante)? Quel suo ballare tutto scombinato a scimmiottare Pina Bausch? O quel suo fare del citazionismo di maniera, fino all'autocitazionismo, una modalità popolareggiante, con a fianco una compagnia di disagiati, messi in mostra come personaggi esistenziali suoi doppi (senza mala fede, proprio con l'intenzione di farne dei sé)?



Quelle sue passerelle di personaggi tutti scombinati questa volta per me hanno avuto un senso: c'è un cristo fin troppo dimagrito, appeso, con la ripetizione del gesto dell'appendere, al muro, pesante, grigio, enorme, che fa da fondale ai paesaggi di questa messa in scena; un ragazzone down, fin troppo cresciuto oramai, ficcato a forza dentro a una culla; e chi è scampato al manicomio, e si trova ancora, proprio in questo mondo mentale, a fare da alter ego violoncellista a un burattinaio delirante, il regista. Ma le immagini erano costruite e messe una dopo l'altra in maniera così suggestiva, proprio a commentare l'amore di Dio e il dolore dell'uomo, non così eccentrica come forse è sembrato, né così sguaiata e inutilmente dissacratoria come mi aspettavo io. Passo, passo il Vangelo. Anche a volerlo contraddire. E anche il video silenzioso con le facce dei migranti fra le fronde verdissime delle terre del sud mi ha fatto pensare. Non era uno sfoggio di belle immagini soltanto, che in Delbono c'è sempre. Stavolta per me c'era dentro un dolore in più, c'era dentro proprio il Vangelo.



Voi certamente sapete cosa significa Vangelo, ma siete contrari per partito preso. Ormai siamo tutti apparentemente contrari alle religioni, io per prima, ma poi bigotti e borghesi, tradizionalisti come sempre, nemmeno ne conosciamo la scrittura.



Il Vangelo è un resoconto dei fatti, "un racconto degli avvenimenti successi tra di noi". E questo ha fatto Delbono, ha messo insieme avvenimenti a cui ormai siamo completamente indifferenti, e anzi ci rivolgiamo infastiditi se le immagini sono fin troppo carnali come quelle del video amatoriale sui morti, col sangue a terra, dei neri di Castel Volturno. Una strage che non ha avuto urla. Beh! quella scena, su tutte, mi ha fatto amare questa "operazione di stile". Lì c'era il cuore. E io non posso far finta di non essermene accorta. Si, era un video in mezzo a tutto il resto, in mezzo ad altri video e citazioni di poesie, con le musiche ribelli di Avitabile, ma in quel video c'era il senso della scena, delle interrogazioni ai migranti portati in sala, con quel loro italiano confuso e quella paura mista a timidezza che mi hanno fatto tremare. Perché quel migrante era proprio lì davanti a me, in mezzo a noi, in un luogo di cultura, e non soltanto evocato, portato dentro invece, dentro a un teatro a parlare di sé, come fa Delbono, vi sembra poco? C'era un ammiccamento? Non mi importa, era vicino a me, era un resoconto dei fatti che non mi andava di vedere a teatro in maniera così cruda. E tanto basta!



immagini e film di Pippo Delbono

musiche originali per orchestra e coro polifonico Enzo Avitabile

scene Claude Santerre

costumi Antonella Cannarozzi

disegno luci Fabio Sajiz



Visto al Teatro Argentina il 19


04 febbraio 2016
Articolo di
nostoi
Rubrica:
Teatro


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