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Può un'opera mostrarci l'esatta natura e verità dell'amore?

Può un'opera mostrarci l'esatta natura e verità dell'amore?
di Chiara Merlo

Quanto a me,
mentre altri scrive belle parole,
penso buoni pensieri,
e, da scrittorello
illetterato quale sono,
rispondo sempre amen
agli inni che ingegni eletti
sciolgono a voi
con stile elegante e penna forbita.

William Shakespeare (sonetto 85)
(30 settembre 2016) Sonetti d'amore. Viaggio tra i più bei versi di William Shakespeare, ideazione e regia Melania Giglio, traduzione di Alfonso Veneroso e Melania Giglio

L'amore comincia sempre da una stanza. No, non come lo pensate voi. Da una stanza interiore. Comincia dalle parole. Ed è un canto gentile. Di notte, mentre ascolti qualcosa provenire dal bosco. Quando il sonno non ti concede più riparo. Ma è proprio davvero tutto così banale, ovvio?

Scriverlo è peggio. È Shakespeare che in qualche modo ce lo dice. Si annoia. Cerca l'ispirazione. Oppure il ricordo. Come tutti noi a descrivere l'amore. E forse si accorge di mentire. Le parole non bastano, non sono adeguate, o soverchiano. L'amore non è un faro nella tempesta, non dura per sempre. E anzi muta. E lui scrive e riscrive. E più lui si convince dell'ambiguità dell'amore, della difficoltà di esprimerlo (eppure della voglia irrefrenabile di dirlo) più ci arriva da lì l'amore com'è. Sonetti. Amore a pezzetti. Frammenti. Ogni volta che ricomincia e finisce, come un ritmo serrato che ci spegne e riprende. Le onde del mare: la tempesta soltanto accennata sulla riva, sulla pelle tanto dolce che l'attende.


Siamo tutti più o meno infastiditi dall'amore oramai. Una congettura insopportabile e neanche più del nostro tempo. Che ce ne facciamo. Chi ci crede. Chi l'ha mai avuto, e chi l'ha mai dato. Tutti feriti dall'amore, e non sappiamo neppure cos'è. Ma sappiamo che l'amore è: (in)sostituibile. Te lo puoi inventare. Puoi continuarlo, con un altro, e un altro ancora, forse perché l'amore si trova in ognuno. Esattamente in noi stessi? È la speranza che facilita un incontro, ogni incontro. L'idea che io possa credere in te e anche difenderti. Solo se tu fai lo stesso. Ma poi, puntualmente non succede. E allora ne cerchi ancora, e ancora e ancora. E chi si ferma e lo trova non ha certo smesso di cercarlo più avanti.



Eppure, gli puoi dare o togliere significato, ma in qualche modo ti appartiene sempre, morale o immorale com'è, lucido o impazzito come lo vedi. Certo ogni volta affrancabile da chi se ne vuole occupare, appropriare.



Questo spettacolo è delizioso, divertente, una regia fresca e ribelle, ironica e leggera. E il posto dov'è è incantevole. Il Globe nel bosco. Con tanta musica rock a scarmigliare i personaggi mai così tanto invecchiati di William. Ma si, facciamone un live! Che meraviglia! Shakespeare sorride (finalmente). E anche noi.



Ma dietro c'è un lavoro meticoloso, e si vede. Non tanto per l'ideazione e la scelta dei pezzi, recitati e cantati benissimo, quanto per la voce messa in mezzo. La stessa Melania Giglio, regista e interprete, canterà una decina di pezzi rock difficilissimi (una ricca contaminazione musicale: da Marvin Gaye a Amy Winehouse, da Leonard Cohen ad Alanis Morissette), da rendere poi così, all'aperto, sotto quel buco di cielo pensato per sentire le stelle col vento di inizio autunno (contesto inglese e shakespeariano come non mai). Una voce incantevole, che per essere quella che è, deve aver lavorato così tanto. Di pazienza e tenacia.



Ma anche l'ideazione merita una certa attenzione. A rendere così fruibile l'argomento non deve essere stato facile smontare piccoli ingranaggi perfetti, meccanismi di respiro inquieto, e restituirli in attimi di esaltazione sublime, gioco e perversione, divertimento e sorpresa. In alcuni momenti brividi. La voglia di arrivare lassù. L'amore è forse proprio questo, affinare la voce, renderla acuta e sottile, fragile e deliziosa per cantare ciò che non si sa, per arrivare lassù. Poi in questo teatro hai davvero la possibilità di guardare il cielo, e ci credi.



Quattro personaggi daranno voce e corpo ai più bei sonetti shakespeariani:



1) William Shakespeare – Alfonso Veneroso



2) La sua Musa – Melania Giglio



3) Il Conte di Southampton – Sebastian Morosini



4) La dark lady – Francesca Marìa



Visto al Globe Theatre di Roma


30 settembre 2016
Articolo di
nostoi
Rubrica:
Teatro


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