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Mascheramento e smascheramento. Das Kaffee Haus di Fassbinder. Da Goldoni. Regia Veronica Cruciani

Mascheramento e smascheramento. Das Kaffee Haus di Fassbinder. Da Goldoni. Regia Veronica Cruciani
di Chiara Merlo

Ciò che non siamo in grado di cambiare, dobbiamo almeno descriverlo

Rainer Werner Fassbinder
(07 febbraio 2018) La scena, con il mare alla parete, di fronte, come visto alla finestra, che ti immagini bagni la stanza buia e dondolante, di un azzurro quasi notturno, quel notturno che a Venezia porta gli uomini per i vicoli a cercar belle donne, per amare, sotto i riverberi del cielo, e le donne, deliziose, vestite come gatti. Ha poi una pagina di ricami, le mattonelle del pavimento di un caffè, da dove fuoriescono i personaggi tristi e scorretti di questa trama.

Goldoni è l'autore dell'ambiguità (in un certo senso), del male inteso, dell'inganno, dell'ipocrisia e del mascheramento. Di una Venezia borghese che non accetta il suo degrado, e perciò si maschera.

Fassbinder è l'autore della realtà, certo come vorrebbe essere anche quella di Goldoni, ma Fassbinder ci mette dentro più crudezza, meno finzione, non è suggerita o suggestiva, è messa in mostra. Cinismo e volgarità. Per un'intenzione espressiva e stilistica diversa, ma con una finalità comune, che per il primo è svelare, per il secondo esibire, con spinta provocazione: l'inettitudine.

Umiliati dalla loro stessa inferiorità, si incontrano in un caffè: un maldicente, un perdente, un impostore, un biscazziere che si approfitta delle debolezze altrui con meschinità calcolata, e poi una ballerina (amante) e due mogli, tutte e tre tradite. E dal tradimento al ravvedimento (il lieto fine delle commedie goldoniane), qui invece resta l'amaro squallido di una consapevolezza ineluttabile: siamo fatti così. Ragionamento del nostro tempo.


Poi c'è il proprietario del caffè, che offre l'ambiente del degrado e del giudizio, e il garzone, il più tenero e colto, e, certamente anche per questo, proprio quello che non conta niente.



Si intrecciano dinamiche e vissuti, regie e scritture, quadri classici e situazioni quotidiane attuali, di sopruso e violenza. L'oltraggio in particolare alle donne, e in questo si innesta la regia della Cruciani. Nei corpi che si piegano di lato per suggerire al pubblico (gli "a parte" di Goldoni) si abbinano gli atteggiamenti ammiccanti dei nostri giorni, le posizioni sessuali più viste, sguaiati modi di essere: sprezzanti esistenziali.



Chi è che non sa! Gli uomini vogliono fottere, vogliono fottersi, le donne farsi fottere, pur di sembrare alle altre le elette di un sentimento, anche solo di una mera scelta sessuale, fosse esclusiva, e i soldi irrorano il tutto, le feste, le giocate, i gioielli da regalare e le notti da comprare (a Venezia mancano giusto le macchine, altrimenti sembrerebbe la Roma della "Grande Bellezza"). Ogni tanto si innestano spicchi di musica elettronica, figure che ballano epilettiche come morse da qualche strano insetto.



Questa regia è molto curata, gli attori sono immersi, i dialoghi sincronici, e la scena ricorda comunque e sempre il mare. Si sente quel suo dolce rumore che sbatte sulle barche, nervosamente, fra i palazzi rovinati, per protesta, per dire che c'è, che è la bellezza nella decadenza, l'acqua che riempie tutte le fessure, le crepe, gli angoli della solitudine, e le smorfie di questi personaggi che annoiano la realtà.



Di Rainer Werner Fassbinder, da Carlo Goldoni, traduzione di Renato Giordano, regia e adattamento scenico di Veronica Cruciani, con la Compagnia del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia Filippo Borghi, Ester Galazzi, Andrea Germani, Lara Komar, Riccardo Maranzana, Francesco Migliaccio, Maria Grazia Plos, Ivan Zerbinati (attore ospite) e con Graziano Piazza. Scene e costumi Barbara Bessi, drammaturgia sonora Riccardo Fazi, disegno luci Gianni Staropoli.



Visto al Teatro Vascello di Roma il 25 gennaio 2018


07 febbraio 2018
Articolo di
nostoi
Rubrica:
Teatro


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