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EINSTÜRZENDE NEUBAUTEN

EINSTÜRZENDE NEUBAUTEN

(05 aprile 2009) C'è ancora cielo sopra Berlino

Le note di “Alles wieder offen”, uno dei più recenti progetti degli Einstürzende Neubauten, mitico collettivo berlinese, liberano una bellezza austera e profonda.
Come se, dopo l'uragano, il caos, una quieta e trattenuta disperazione aprisse un varco, un sentiero di illuminata e magniloquente musicalità. Una tabula rasa dopo il crollo di tutti gli edifici delle nostre certezze.
È questa la filosofia musicale degli ultimi Einstürzende Neubauten. L'anarchia sonora e il nichilismo distruttivo lasciano spazio a una raffinata tessitura musicale. Pezzi piani, orizzontali, dove il tempo sembra una nozione secondaria. Più che il rumore, che rimane sempre di sottofondo, è il silenzio che guida la loro ricerca sonora. Come se tra i due estremi ci fosse ben poco, a parte il contrasto costante o la compenetrazione.

Mai nessuno come loro forse ha saputo racchiudere la contemporaneità in musica, incarnando (pur allargandone molto gli orizzonti), insieme ad altri gruppi a cavallo tra gli anni '70/'80 (distinzioni politiche a parte), l'estetica più radicale dell'era post-industriale: la musica Industrial. Quel progetto terrorista e sperimentale di matrice futurista-dadaista che voleva svelare l'angoscia, l'alienazione dell'uomo contemporaneo, occupando esteticamente/politicamente spazi dismessi della civiltà industriale al suo declino, cominciando col destrutturare le fondamenta della musica.

Ma Blixa Bargeld e soci non si sono mai chiusi in un clichè, hanno sperimentato di volta in volta nuovi percorsi. “Alles wieder offen” (letteralmente 'Tutto è ancora aperto') è un progetto discografico importante e suggestivo (nato dall'autoproduzione e dal contributo anche artistico dei fan), con alcuni pezzi destinati a diventare veri e propi classici del repertorio.
L'apertura è affidata a quell'oscuro gioiello che è “Die wellen” (Le onde). Non c'è modo di definire il crescendo percussivo, l'angoscia che sprigiona questo breve capolavoro espressionista. La voce di Blixa si muove su un fascio sonoro che nervosamente diventa ossessione percussiva (essenziale il contributo di N. U. Unruh e di Rudolph Moser). Un pianoforte dissonante sprofonda nell'apocalisse, in una sorta di delirio che diventa teatro musicale di gran classe.

La notturna “Nogorny karabach” (regione dell'Azerbaijan e luogo della mente) s'insinua ipnotica e leggera tra note di basso, organo e pianoforte, mentre “Weill weill weill” è il ritorno a certe robotizzazioni sonore sempre di matrice Industrial. Stessa tendenza si ritrova nella dance-punk “Let's do it a dada”, una sorta di danza del nuovo millennio. Felice l'intuizione di “Ich hatten ein wort”, dimostrazione che una canzone quasi pop diventa nelle mani dell'ensemble tedesco materia unica.
“Von wegen” inserisce una sezione d'archi che fanno da contrappunto alle percussioni metalliche di N. Unruh (ricompaiono i rifiuti industriali) e che si palesano magnificamente in “Susej” (Jesus al contrario, secondo un procedimento che vuole a ritroso liberarsi delle sovrastrutture culturali per rimanere aperti) dove, insieme al basso incisivo e metallico di Alexander Hacke (fondamentale il suo apporto), gli archi creano vortici di paesaggi fantastici.

Il pezzo che chiude l'album “Ich warte” è un acustico e allucinato finale che sorregge il recitato di Blixa Bargeld (belli i suoi testi e le rifiniture più strettamente musicali). Ricco il contributo delle tastiere di Ash Wensday, mentre la chitarra di Jochen Arbeit si muove naturalmente più defilata.

Non certo originale il pezzo che dà il titolo al disco, ma poco importa, perché l'inimitabile arte degli Einstürzende Neubauten sembra rinvigorirsi attraverso un lavoro che è l'ennesima conferma del valore di un gruppo che ha contribuito con le sue 'sinfonie siderurgiche' e il suo aristocratico e solenne, nonché visionario approccio musicale, a disegnare le mappe sonore della nostra epoca.

di Dario Ameruso


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05 aprile 2009
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