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Short Theater/Politiche della Visione

Short Theater/Politiche della Visione
di Chiara Merlo

“L’introspezione è un’attività che sta scomparendo. Sempre più persone, quando si trovano a fronteggiare momenti di solitudine nella propria auto, per strada o alla cassa del supermercato, invece di raccogliere i pensieri controllano se ci sono messaggi sul cellulare per avere qualche brandello di evidenza che dimostri loro che qualcuno, da qualche parte, forse li vuole o ha bisogno di loro”
Zygmunt Bauman
(Intervista sull'identità)
(08 settembre 2011) “Joseph_” (Joseph underscore) di Alessandro Sciarroni. Roma MACRO Testaccio.

Cominciamo dal titolo (i titoli mi impressionano sempre). Underscore per dare enfasi al soggetto. Nella composizione del testo questo carattere è una sottolineatura, o si usa per gli indirizzi e-mail... Ma questo testo non ha parole. Solo nel titolo. Silenzio, perché il silenzio è la forma, e la musica come acqua lo riempie presto, totalmente, aderendo fino ai margini della mente, senza che ne possa in alcun modo più fuoriuscire.

Il silenzio un contenitore della stanza da dove chattiamo. Al massimo...rumori di sottofondo.


E la stanza viene proiettata tutta su di una sola parete, dove tutti ammassati siamo lì, nel bidimensionale, per “in-ventare” delle altre/alterazioni/dimensioni possibili.



Suggerire il virtuale oltre l’immaginifico. Su quella parete: dilatare, deformare, ingrandire...e rimpicciolirsi di colpo. Essere risucchiati dentro (underscore può voler dire anche questo: riservato ad un uso interno “_INTERNAL), e questo è  un “processo”...per ritrovarci nel post moderno, nel post drammaturgico: nella banale quotidianità della tecnologia che banale non è.



Joseph per dire Giuseppe...fare riferimento alla Genesi con il significato di “portato via” oppure di ”aggiunto”. Così trascendere, riprodurre il proprio corpo che diventa “l’altro”, o altro dal corpo, o altro da sé. Inorganico. Spirituale. Esistenziale. Ma non è complicato.



L’altro da sempre l’ho (anche solo) intra-visto (proiettato) sopra uno specchio, dentro allo specchio del teatro, nel personaggio che vedo. Ma del personaggio non resta che l’ombra. E allora c’è il virtuale. L’espanso. Nel virtuale ci si nasconde e ci si rivela anche più facilmente; c’è più tenebra, e comprendiamo allora anche di non esser-ci. Ed è per questo che restiamo a lungo davanti al monitor, al buio a divagare, nell’ombra a dis-perderci, nei fasci di luce a cercarci. Noi, il me, il sé e anche l’altro. Tutti “contemporaneamente” in una sintesi perfetta.



Ma qual è l’elaborazione drammaturgica? La relazione. Quella inter-attiva, il sistemico-relazionale di un “campo chiuso” con “finestre” com’è la chat!



Si comincia col proiettare le proprie mani, si allungano verso, e diventano “liquide”, ma non è solo un’immagine distorta...poi filtrano dovunque, diventano strisce, raggi di luce. Dalle mani il corpo si fa doppio, e infine si fa anche multiplo. Arriva dall’altra parte. Trasmigra. Multi-versi di ogni singolo movimento che si agitano in modalità speculari. Dinamismo di un uomo.



Pochi file aperti: “happenings”, “possibility maybe”, “arena”...fino a quando non apriamo una finestra per cercare un altro partner. Chattiamo, in intimità “pubblica”! E diversi partner si alternano e si propongono con le loro facce sorridenti o deluse, e le loro “masturbazioni” da condividere, frontalmente. Ma sono tante altre le variazioni possibili. E noi guardiamo. Inconsapevoli (anche loro). E tutti disvelati di fronte a un osservatore inatteso.



Molto interessante, anche solo come esperienza/esperimento. E pure c’è tanta poesia, già soltanto in ogni de-formazione. Intelligente, divertente e devastante. Introspettivo nelle sue riduzioni prospettiche. Apparente, “manifesto” nelle sue più contemporanee intenzioni drammaturgiche. Straordinario Alessandro Sciarroni. Per lo studio dei processi il riconoscimento va ad Antonio Rinaldi.


08 settembre 2011
Articolo di
nostoi
Rubrica:
Teatro


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