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City_Scape

City_Scape

(21 giugno 2009) La metropoli non può essere pensata solo come un agglomerato urbano fatto di quartieri, zone e isolati, ma anche come un'articolazione complessa di piani concettuali, dicotomici e infiniti che costituiscono, attraverso la loro continua sovrapposizione, intersecazione e collimazione, il paesaggio metropolitano
Un paesaggio che viene alimentato e che si riproduce nella moltitudine degli individui che lo vivono. Considerando i famosi “paesaggi” fluidi elaborati da Appadurai (ethnoscape, technoscape, finanscape, ideoscape e mediascape)(1) come imagined worlds, relazioni non date oggettivamente ma costrutti prospettici influenzati da situazioni storiche, linguistiche e politiche di differenti tipi di attori, possiamo immaginarci un nuovo modello interpretativo. La convivenza di realtà comunicative contrastanti si rafforza attraverso l'evoluzione di Massimo Canevacci relativa al concetto di video-scape, un panorama virtuale tecnicamente riproducibile, creato dalla proliferazione di segni elettronici, si espande irresistibilmente nei corpi multinazionali e multietnici (2). Questa contrapposizione dicotomica, espandibile nell'individuo che li attraversa fisicamente e culturalmente, porta il nome di city-scape: piani di contrasto infiniti che, attraversando connessioni plurime e trasversali, costituiscono e ri-costruiscono il paesaggio metropolitano e che gli individui riportano nella vita quotidiana, nell'abbigliamento, nell'utilizzo del corpo e nell'agire sociale.

Ciò avviene grazie a quelli che possiamo chiamare switch metropolitani, campi di tensione fluidi, non definiti da semplici confini architettonici e/o naturali ma geograficamente sconfinati. Il concetto di switch metropolitano, infatti, cerca di comprendere sia il passage benjaminiano - attraversamento della soglia critica all'interno dell'immagine-idea (3) e sintesi inesauribile della merce, prostituzione, flâneur, gioco, moda, art nouveau, urbanistica, collezionismo - che quello, sicuramente più vicino ad una dimensione post-moderna, di ipertesto. Uno switch metropolitano, quindi, può essere considerato un luogo di soglia, un link tra punti estremi che, all'interno di plurime connessioni comunicative, decostruiscono gli opposti, dissolvendoli in una soluzione di continuità, rendendo le dicotomie fluide e aperte a nuove letture.

Questo significa non più linkare per analogia - per spazi comunicativamente, temporalmente e socialmente simili - ma per opposti, che nell'atto della connessione si ibridizzano e scompaiono. Lo switch metropolitano è un punto, uno spazio, una linea che comprende gli elementi determinanti delle tante dualità urbane: può essere una piazza, una strada, un quartiere intero, ma anche una veduta aerea, una linea della metropolitana, un cartellone pubblicitario. Se, come abbiamo detto in precedenza, i city-scape sono costituiti da piani di contrasti dicotomici e infiniti che determinano il paesaggio cittadino, gli switch metropolitani rappresentano la dimensione empirica in cui questi piani di contrasto trovano reale epifania (ἐπιφάνεια, epifaneia, manifestazione) e possono essere riassunti attraverso una serie di indicatori.

Osservare una città lontana dalla nostra esperienza quotidiana (come Tokyo o San paolo) con occhi esterni, da "occidentali", gli estremi di ogni contrasto sembrano collegati da una soluzione di continuità che, in effetti, de-costruisce la visione oppositiva dei vari elementi attrattori. Questi contrasti si disciolgono nei piani comunicativi sociali, paesaggistici, architettonici, cognitivi ponendosi come possibile chiave di lettura di questi trans-spazi ibridi racchiusi fra estremi perfettamente amalgamati.


(1) A. Appadurai, Modernità in polvere, Meltemi, 2001, p53
(2) M. Canevacci, La Città polifonica, Seam, 1997, p.49
(3) F. Desideri, La porta della giustizia, Pendragon , 1995, p.120

(Foto di Veronica Turiello )


di Riccardo Esposito e Luca Spano

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