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Frantumi

Frantumi
di Veronica Turiello

Otto Weininger " Malattia e solitudine sono affini. Alla minima malattia, l’uomo si sente ancora più solo di prima"
(10 settembre 2011) Fragilità è una parola che sa di note sincopate.
Il rumore delle cose sul velluto, quando la musica si interrompe all’improvviso e la ballerina del carillon vortica del vuoto. Le gambe spezzate. La perfezione sgrana nella caduta. E quello che prima era musica si fa silenzio


Cosa sappiamo delle crepe? Delle cose che stanno per rompersi? Uno squarcio è sempre dolore o questa volta produrrà luce?



Se la genialità fosse un male incurabile? Se la strada verso l’eternità artistica fosse l’esito di un dolore? Il difetto è una ferita nella nettezza della perfezione.



E la perfezione, per ostinazione, esalta il difetto.



Questa è la storia di piccoli uomini fallaci ammalati di genio e fragilità. E di altri mali minori. La storia della fine di un brillare eterno. La storia di chi perde la luce. Di chi si spegne un po’ ogni giorno. Storia di un brillare lontano. In un giorno di buio.



Se Van Gogh potesse vederli così, imbruniti da ogni minuto che va via, segnati dal tempo che sembra un autunno costante. La chimica dei colori condanna l’eternità dei bellissimi girasoli del pittore di Amsterdam e di diversi impressionisti, avvezzi all’utilizzo del componente chimico per la resa cromatica dei loro capolavori.



La vita che inganna l’arte, quando sembra offrire bellezza e invece paga in brevità.



Sedotti dalle innovazioni chimiche offerte dalla ricerca in campo colorimetrico, questi grandi pittori del XIX secolo non hanno previsto l’inesorabile erosione che il tempo ha sulle cose.



Cosa pensereste se il difetto non fosse nella chimica ma nell’ottica? La rivoluzione cromatica e stilistica che nasce con l’Impressionismo non sarebbe altro che un difetto di vista. Degas, Monet e e Renoir avrebbero dipinto i loro lucenti fiumi azzurrognoli e le leggere ballerine di tulle e seta solo grazie alla miopia. E’ uno  studio ampio e circostanziato del neurologo australiano Noel Dan a ricostruisce nelle pennellate fitte e rapide, nei quadri completamente inondati di luce la presenza del male dell’occhio più comune del mondo. Il sogno del mondo visto e catturato dall’immediatezza dell’impressione non esisterebbe come filosofia artistica. Sarebbe solo un incidente. La risposta istintiva ad una “ mancanza “ oculare. Si può credere che Monet ( che finì per impazzire perché non riusciva a catturare il giallo dell’alba sulla cattedrale di Rouen ) abbia dipinto le sue Ninfee Blu perché i suoi occhi non le vedevano? Il rosso diventa colore predominante nei quadri di Monet dopo il 1920. Elemento questo, secondo Dan, per cui è chiara la deriva miope del pittore. Così secondo Cézanne « Monet non è che un occhio ma, buon Dio, che occhio ». 



I geni nascono postumi. Ma non agli occhi degli altri geni. Un sole crescente. O l’impressione di esso.



Piccole cristallizzate fragilità. Una goccia di pioggia, mille altre insieme sbattono sul vetro della finestra, in un giorno d’autunno. Un rumore incantevole, un motivo, una melodia. Diventa un sibilo. Un taglio. Una ferita sempre più dolorosa. Uno strappo. Iperacusia. E’ questo il nome della malattia che rende insopportabile ogni più piccolo rumore a causa di un’iperattività del sistema nervoso centrale. Insieme all’acufene ( malattia del rumore immaginario ) l’iperacusia costringe ad un bisogno di silenzio assoluto. Scappano dal mondo per sfuggire alla follia, gli iperacutici: non possono ascoltare la musica, il suono della radio in sottofondo, soffrono per il più flebile dei rumori. La fragilità di un soffione che cade qui somiglia ad un vetro conficcato nelle tempie che porta alla follia.



Follia che diventa violenza. Ossessione. Lo sapeva Lucian Freud, nipote di Sigmund, appena scomparso. I suoi quadri sono angoscia. La sua è brama di vedere le più intime fragilità umane degli uomini scavandole, vivisezionandole, spiandole attraverso la carne, attraverso le vene. Nella parte interna dei corpi, distesi spesso su letti da psicanalisi. Lo sapeva Francis Bacon che invece disegna le paure, l’angoscia, il dolore sulla pelle e la scava sui volti, nel rosso purpureo delle linee del corpo. L’orrido diventa specchio delle paure inconsce e ne riflette il malessere, producendo bellezza. Inattesa, imprevista.



Fragilità e malattia. Sclerodermia. Nel 1935 a Paul Klee viene diagnosticata questa terribile rara malattia cronica autoimmune. Le pareti della pelle si ispessiscono e spesso raggiungono gli organi interni. I bellissimi colori dei suoi esordi spariscono nei colori cupi dell’intera produzione realizzata con gran sofferenza da Klee che nella sciagura, viene risparmiato dai sintomi della malattia sulle mani. Un “ Uomo segnato “, riassunto nei graffi, le ferite, gli squarci delle sue tele. Come uno specchio delle ferite della sua pelle. I titoli accompagnano la lenta progressione di Klee fino alla morte: Maschera: dolore, Fuoco e morte. Ritrova i colori tenui e i fiori leggeri nella primavera del 1940. Sul ciglio della morte, avvenuta nel mese di giugno dello stesso anno.



Dieci ritratti alienati monomaniacali. La follia e il dolore, nell’odore alienante delle tele di Théodore Géricault. Le dieci tele sono il risultato di una forma depressiva che colpì il pittore e lo portò a fare un viaggio espressivo nelle vite dei malati di mente, nei loro volti contorti dal dolore e nello sguardo fisso verso l’ossessione  che fa impazzire. La sua Zattera della Medusa è una testimonianza storica ed emotiva del dolore e della speranza. Un saggio visivo di umanità spezzata.



Ossessione. Alienazione. Gelosia. È un’opera di distruzione condotta con sistematica lucida follia quella portata avanti da Alice Hoschedé, seconda moglie di Monet a discapito di Camille Doncieux, la prima bellissima moglie del pittore. Morta a seguito di un tumore, Camille non fu mai dimenticata da Monet e la nuova compagna si dedicò alla sua cancellazione, annientando poco alla volta i ricordi, distruggendo le immagini e le cose appartenute alla bella Camille. Non riuscì però a distruggere il più bello dei suoi ritratti: Renoir trovò Camille così bella che la ritrasse nel suo Femme cueillant des Fleurs assicurandole vita eterna.



Fragile la solitudine si tinge di un giallo antico e si stempera nelle immagini indefinite dei paesaggi di Sicilia di “ Distance “, lavoro etnografico del fotografo Marco Giambrone, a metà fra narrazione favolistica e tempo immobile. L’alienazione si fa silenzio. Profuma di quei girasoli di van Gogh, delle ninfee blu di Monet. Sul bordo di una stizzita, cieca gelosia che annebbia la vista e stringe il cuore. Soltanto fragili uomini. Alcuni competono con gli dei


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