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Wunderkammer soap #1_didone. ricci/forte e la descrizione di un dolore

Wunderkammer soap #1_didone. ricci/forte e la descrizione di un dolore
di Veronica Turiello

Les libellules d'or avaient chu dans les blés, les moissonneurs fauchaient leurs ailes comme des épis
( A. Artaud)
(10 novembre 2011) Alcune stanze sono labirinti. Praticate l'asfissia, guardandovi la linea della vita sul palmo della mano? Vi siete persi. Eppure siete fermi in una stanza. 8 metri di piastelle sanno stringervi le mani alla gola come un sacchetto di plastica incollato alla faccia o farvi immaginare una vita lunga un secolo. Che gli spigoli inumiditi delle pareti non riescono a contenere. Una giornata di disperazione può iniziare con un bagno profumato. More&muschio, probabilmente. Non dite di non averlo fatto mai. Che il dolore sembra più grande, quando si guarda allo specchio. Sembra più tagliente, bisturi chirurgico che esporta st(r)ati d'animo. La vita è viscida più delle piastrelle del bagno. Qui si scivola. Lividamente


Wunderkammer Soap #1_Didone. L'Abbandono. Si trasforma in una bolla profumata di lancinante dolore questa stanza da bagno senza finestre e senza aria. Blind side della modernità, buco nero della malinconia. Senza fronzoli. Senza possibilità di salvezza. Mille facce appese alle pareti: un cannibalismo mediatico ci sorride dalle immagini del divismo moderno. Una Nicole Kidman ammicca accanto alla lacca troppo  leggera. Terrà immobili i capelli, su una storia che va in pezzi. E' il racconto rievocato di un addio. Un addio, un groviglio di lacrime e rabbia. L' abbiamo avuto tutti. Ma qui fa così male che diventa straziante l'idea stessa di aver sofferto così. Di poter soffrire ancora. Così. 



Ci ha cambiato nella carne. L'amore. Ci ha toccato con mille penetrazioni: corpo, cuore, cervello offerti in pegno di un niente. Sperato, agognato. Ottenuto, infine: siamo noi, quella Didone offesa, avvinta da una spada immaginaria che trafigge senza colpire. Come solo le lame mortali sanno fare. Principessa con la coroncina delle bambole che sorride alla parte di sé che ancora ha occhi per piangere. Lacrime e mascara sulla scatola dei ricordi di questo amore mordi&fuggi. Dove resta il segno del morso, il vuoto della fuga e un fazzolettino di carta di un caffè di periferia. La scritta sbiadita di un " te vojo bene " insensibile e fasullo. Inchiostro indelebile nell'anima. Inchiostro simpatico per la realtà. 



Promesse in cambio di promesse. Le tue le rispetti, lui lo farà? Piange, Didone. Sui tagli - veri - fatti sulla carne. Piange su quello che cerca d'essere. Una Nicole Kidman per piacere a lui. Trasformazioni e nuova pelle, dedicati a lui, un cliente - diventato amore -. Piange sulle foto a cui s'ispira. Piange sulla trasformazione del corpo che non riesce a trasformare l'anima e che non sa trasformare il sogno in desiderio realizzato. Lo sguardo del fallimento non si nasconde con l'eye liner nero. Le lacrime rigano il fard. Non si bacia in bocca la Felicità col rossetto. Va a finire che si unge e scivola. Dissolta nell'acqua profumata. More&Muschio&male di vivere. 



ricci/forte costruiscono un universo di stanze crudeli in cui si racconta il tormento condiviso. Piccoli spazi radiografati alla Dogville, dove ogni stanza diventa ripostiglio di uno stato d'animo. Il mio, dell'altro e del mondo. Raccontati dalla voce fuoricampo, un pungolo elettrico per i ricordi. Gioca sui nervi scoperti del sentire. Ci riesce, questo teatro di malamore, a far sentire dolore.



Il dentro e il fuori si mescolano. La linea fra vicende e vissuto si sovrappongono. Didone è riuscita ad essere ognuno dei 15 voyeurs, ospiti del dramma delle due serate conclusive di Wunderkammer Soap, la performance diluita nei 7 episodi-soap ospitati in sei differenti luoghi metropolitani di Roma, nell'ambito del Romaeuropa Festival 2011. Estratti dalla corposa produzione Marlowiana, vanno in scena in loop, questi kammer ibridi che rubano alla tradizione teatrale la struttura e l'aura mitica e la contaminano con la brevità, la lucidità e la serialità della soap. Un linguaggio incredibilmente caustico per le certezze per gli sguardi assuefatti alle ripetizioni, alle massificanti immagini della contemporaneità. Costringe a contrarre l'abitudine, a stringere lo zoom sui più piccoli particolari della sconfitta. Quella quotidiana. Gli spettatori, vicinissimi, integrati alla scena, quasi come coprotagonisti sono protagonisti altrove, di drammi simili. E lo sanno. Si legge dalla commozione che portano negli occhi. Quando cercano gli occhi di questa splendida Didone disperata - uno strepitoso e devastante Giuseppe Sartori - come a dire che " è successo anche a me". L'ipocrisia dei drammi chiusi nelle nostre stanze è il commento più sprezzante e comune al male sottovetro che viviamo. Una collezione di malanni, malesseri, malumori resa nella forma poetica più ricercata e potente. 



Questo teatro prende alla lettera la sua essenza di performance e realmente richiede un contributo emotivo, un pegno in emozione altissimo al suo pubblio. Crea dipendenza. Insanabile. 



Il solo rammarico è di non riuscire, alla fine di ogni vortice di bellezza, a trovare lo spazio, la lucidità e la forza - quasi fisica - per l'applauso che meritano. Quello si. Andrebbe riprodotto in loop. La manopola posizionata su infinito


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