Multiversi roundbox
SOME DISORDERED CHRISTMAS INTERIOR GEOMETRIES

SOME DISORDERED CHRISTMAS INTERIOR GEOMETRIES

(22 dicembre 2010)

Ho smesso di credere a Babbo Natale quando avevo sei anni.
Mamma mi portò a vederlo ai grandi magazzini e lui mi chiese l'autografo
(Shirley Temple)



Lo spazio bianco è quel passo di luce fra te stesso e l'idea che hai di te.
Ti guardi dentro, dal di fuori? Sai farlo? C'è un posto in cui il limite fra cosa sei e come sai guardarti si sbriciola. Si dissolve, si fa liquido. Essenziale. Puro. Come il latte.
E' un altro mondo. Il contrario di te.
Perché esistono alcune disordinate geometrie interiori che costruiscono linee e atti unici di senso. Che di distorcono e si moltiplicano all'infinito. Repliche di emozioni singole. Ci sei tu in questo spazio spazio bianco. Ad un passo da te stesso. Sai riconoscerti?
28 minuti. 8 spettacoli a sera. Per 8 sere. 50 spettatori alla volta. Per un totale di quasi 4000 spettatori. Numeri da tour teatrali che durano mesi. Sulla terra.
Ma questa non è la terra. Questo è l'universo ricci/forte. Dove niente è neanche vicino all'immaginabile. L'immaginazione nasce qui.
Fondazione Fendi. SOME DISORDERED CHRISTMAS INTERIOR GEOMETRIES 8/15 Dicembre. 2010. Repliche: mai più. E' un evento straordinario.
Come l'eclissi di luna nel giorno del solstizio d'inverno.

Capisci che ti stupiranno, quando ti accoglie su un'ambulanza parcheggiata all'ingresso del teatro, un'infermiera che segna il tuo nome sulla sua lista. E' già iniziata. La meraviglia è un oppiaceo invisibile che ti immunizza dalla realtà. Questo è un mondo fantastico.

Bisbiglia al tuo orecchio. Si avvicina a te, vestito di bianco. Un'infermiera con gli occhi penetranti, scuri, profondi, con…la barba di un giorno e il corpo perfetto di un adone, incredibilmente oscillante nel passo suadente. Brillano e svettano, i vertiginosi tacchi a spillo.
Se chiudi gli occhi immagini le sue gambe che si toccano fra loro, sotto l'uniforme linda, paradosso del candore. Nasconde, solo alla sensibilità visiva, lo strofinio del suo sesso. Onomatopeica sensazione. Dimmi che la stai sentendo. Il bianco ti avvolge.

Carnalità suadente, travestitismo ostentato. Voglia avvolgente, ere(ero)/tica, melliflua. Anzi no. E' lattea. Non è una provocazione. E' la condivisione di un codice.
Questo vorticare di infermiere/manichini ti accoglie, quasi mangiandoti con gli occhi: un vassoio e un bicchiere pieno per metà. Bevi il tuo latte. E diventi parte del tutto.

Il punto di incontro fra te e l'idea che hai di te è questo spazio assoluto che sa di nascita.
Bianco, con figure bianche. Sagome rubate all'idea concettuale del teatro di Kosuth e del teatro dell'evento che esiste ( qui ed ora) in maniera esclusiva e limitata nel tempo della sua messa in scena. La benjaminiana idea dell'evento unico, opera d'arte irripetibile è incredibilmente reale: questo spettacolo sembra messo in scena per ognuno dei suo spettatori, in maniera esclusiva e solipsitica. Nella sua infinita e voluta ripetizione in loop. Un unico che si riavvolge. Che riparte da zero. Un originale puro. Una litografia autografa di parole e senso.

Ecco la mia sessualità. Puoi berla nel tuo bicchiere di latte. Mentre il vassoio si fa specchio: cosa sei? Così puoi vederti con gli occhi di un altro. Con gli occhi dell'attore che ti porta con sé, nel duplicarsi dell'immagine. E si raddoppia il senso.
Non è più tempo di stare in platea. Il concettuale raffinatissimo si dissolve nell'emotivo più pungente. Quando i bicchieri si vuotano, si parla di me. Di te.

Sei tu la bambina che sogna di tornare a casa, durante la messa di mezzanotte, per scartare la sua bambola. Cos'è Natale, se non una scatola rosa con un pupazzo di palstica?
Un paraorecchi di Hello Kitty per non sentirsi così male nel dover sorridere a comando, nel dubbio continuo che Babbo Natale non esiste. Una pecorella di gesso, rubata al presepe, in tasca, ti ricongiunge al Natale. Nella mangiatoia c'è un piccolo bambino.
Gesù dagli occhi vuoti. In un mare di latte.

L'atroce sensazione di iniziale inadeguatezza e intenso coinvolgimento, di stupore sensitivo e rievocazione mnemonica insieme, sono il senso sottile su cui gioca questo incredibile testo antiretorico e iconico cucito con minuzia dai più visionari e creativi autori della scena contemporanea italiana: Stefano Ricci e Gianni Forte.
Parole distoniche e strazianti dedicate ad un forse inesistente Babbo Natale che le riceve. Tramite mail. Cosa ricordate di questo vecchio barbuto troppo impegnato in stucchevoli impacchettamenti di superfluo? Sono certa che avete un ricordo.
Ricci/forte lo scartano per voi. Vanno a riprenderlo e lo sublimano nell'anticelebrazione del Natale. Nell'omaggio all'immaginabile e al senso puro delle cose. Nella ricerca della leggerezza e nel rifiuto di qualsiasi forma di ideale lineare. Sono geometrie disordinate. Queste. Perché quelle interiori dovrebbero esserlo sempre. Senza schemi.

Il superfluo si declina al meglio, si veste di carta lucente e nastri in volute: siamo a Natale.
Le geometrie sono un calcio nello stomaco se mostrano l'arrembaggio dei peggiori che suicida l'arte. Sono l'anti/finzione delle emozioni. L'antiespressione dei sorrisi da fiction, dalle asistoliche sensazioni da piacere finto. Facce come manichini che si autoincartano come scatole da regalare. A chi ti regali, regalo indesiderato e farlocco?

Anna Gualdo, Andrea Pizzalis, Anna Terio, Barbara Caridi, Elisa Menchicchi, Fabio Gomiero, Giuseppe Sartori, Marco Angelilli, Valentina Beotti, Valerio Sirna, Velia Esposito sono questo muoversi di corpi che si posseggono e che vi posseggono, occhi e sensi, in quella che è una discesa verso se stessi e materialmente verso il basso, in un percorso che entra nel cuore antico di Roma, fino a fermarsi nel centro dei Fori Imperiali. L'inferno è ciò che vivi tu, ogni giorno.

L'brido è la fusione di classicismo dickensiano e globalismo, rivissuto tra rovine millenarie e immagini spezzate in miriadi di schermi e pixel sui quali le emozioni, dal pianto al sorriso, dalla disperazione alla gioia esasperata, scorrono come in un fuoriorario in bianco e nero.
Una lunga e a tratti dolorosa esposizione di sé, come quella che la fotografa Francesca woodman, scomparsa nel 1981, giovanissima, rende totale in quelle disordinate geometrie interiori che l'hanno resa immortale, assorbendola nelle sue stesse pose. Fino al suicidio. Resta la dolcezza, polverizzata in grani lievi di caffè.

Alcune disordinate geometrie interiori…
Siate asimmetrici. L'asimmetria è quella goccia di latte che vi resta sulle labbra. Mentre il resto del mondo la cancella col bordo edulcorato di un fazzolettino di carta. Roba da jingle del Mulino Bianco. Siamo a Natale.


di Veronica Turiello



Il promo. ricci/forte - SOME DISORDERED CHRISTMAS INTERIOR GEOMETRIES
 © Multiversi Project 
Di link in link verso l'approfondimento
Contattaci
Ai sensi della Legge 7 marzo 2001, n.62, si dichiara che Multiversi.info
non rientra nella categoria di "informazione periodica" in quanto
viene aggiornato a intervalli non regolari.