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Ricordi dal bordo di un'ampolla

Ricordi dal bordo di un'ampolla
di Veronica Turiello

di Gabriel García Márquez

La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla
(08 novembre 2011) I ricordi hanno la leggerezza di un soffio e il peso impensabile della memoria. Ci sono posti in cui tutte le cose hanno il carattere del volo. Si sollevano al passaggio di un'ombra, come se avessero le ali impalpabili di una farfalla. Dove vanno a finire i personaggi delle storie? Dove vanno gli eroi, dove i cattivi, dove le cose che popolano il mondo, quando la storia finisce? Morire lo sa. E lo racconta. Dal bordo lucente di un'ampolla piena di sogni. Venite a sentire.


Cala la notte, nel Cimitero della Fantasia. Qui, dove tutto esiste per volontà. Sapete ancora desiderare? Sapete volere intensamente, tanto da riuscire a dormire abbracciati dai vostri sogni? Avvolti da un abbraccio dei vostri ricordi? Sapete ancora arrivare alla fantasia, sapete raggiungerla ancora? 



Un giorno non sembra finire mai nel mondo in cui va a morire la fantasia. Ma quelli nati da un guizzo di genio, venuti dai libri, dai miti popolari, dall'estro degli scrittori sono tutti qui. E riposano in comode camere d'aria riempite dai loro ricordi. La loro storia li culla. E ogni notte scelgono un soffio da riporre in un'ampolla. Il sogno per la notte che arriva. Sono personaggi, sono oggetti, sono invenzioni. Sono sogni d'artista. Sospesi nel limbo di pagine profumate o nascosti in scatole da riporre sotto il divano. Vi siete chieste mai che fine fanno? Di che morte scompaiono? Come chiudono gli occhi? E' un sintomo della vita, un seme del respiro, il pensiero della morte.



Così il pianto e il riso - come nel Giano bifronte che ha in sé l'inizio e la fine - si alterna nella leggerezza unica e magica dell'ultima favola interpretata dai giovani attori del Laboratorio Piero Gabrielli, diretto dall'ispirata regia di Roberto Gandini, in scena al Teatro India di Roma con " Il soffio delle camere d'aria ". La scrittura teatrale svela subito le bellezze stilistiche di Attilio Marangon, ricercatissimo autore di mondi fantastici che scrive questa storia a quattro mani, con Giuseppe Manfridi. Il Cimitero della Fantasia racconta le storie oltre le storie. Ci dice di Polifemo, ucciso da Nessuno, che aspetta la sua vendetta e soffre di un dolore che pare eterno. Ci dice di Guglielmo Tell e della sua mela, rubata forse da Eva, la prima donna a nascere, la prima a desiderare di morire. Racconta di Barbie - la meravigliosa Teresa Federico - per cui qualcuno ha immaginato la morte. Ci racconta del Gatto e la Volpe e della morte che diventa filo rosso e che li tiene insieme, oltre la vita delle pagine del loro libro.



Così, come un ossimoro, va in scena la morte ma il palcoscenico inizia a brillare sui passi leggeri della custode del cimitero, coi suoi fiori di camelia appassiti, rubati ad un altro libro. Ad un'altra storia. Va in scena la morte e quasi non sembra vera. Non sembra dolore. Semplicemente esiste. A darle magia, le scene disegnate da Paolo Ferrari, meraviglioso nelle sue sculture di plastica bianchissima e luce, con gli oggetti che si trasformano in scena, sotto gli occhi stupiti della platea, incantata, diventando ora letti, ora giacigli, ora sfondi da Paradiso Terrestre. Il mare in cui si perde Ulisse si sposta in una tinozza. E sembra più vero e crudele che mai. La delicatezza di questo testo è così forte che quello che rimane è un senso di pienezza. Sembra una rivelazione. Salita a portare il buio sul palco, mentre la notte arriva a portare il sonno agli ospiti della fantasia, nel Cimitero della fantasia. Qui, dall'altra parte, è come una luce che si accende. 



- Ci vuole molta immaginazione, per cercare qualcuno qui, nel Cimitero della fantasia...-



Il motivo empatico che dal palco arriva allo spettatore è una commozione condivisa. Nel senso di dolcezza che si innesta nel pensiero per coloro che non ci sono più. Nel pudore, quasi reverenziale che riserviamo alla morte, come se fosse una sporcatura della vita, un pudore che supera la paura. Lo stesso che a volte ci permette di non ricordarla, la morte. Come accade a Don Abbondio che ha dimenticato la propria. Occorre immaginarla attraverso i ricordi della propria vita. I propri ricordi, i propri sogni. E' così che l'immaginazione riesce a sconfiggere il senso della morte, a lenire il dolore, ad oltrepassare ogni dimensione e ci si arriva, al Cimitero della Fantasia.



I visitatori, qui, sono pochi. Eppure vengono, Un po' straniti, un po' confusi, a cercare chi non c'è più. Non sarà certo la morte, nel mondo della Fantasia, a cancellare l'esistenza. Seguendo i passi incerti della " figlia del dottore " - proprio quella che fece l'amore con Ambarabà, Ciccì e Coccò -  alla Fantasia ci arriveremo. Sbagliando strada. Confondendo i passi. Quale sogno vi porterà alla Fantasia? 



Silenzio. Arriva la notte, sul bordo delle ampolle bagnate di sogni 


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